- paola gaudio
Quando l'amore diventa dipendenza

"Se un individuo è in grado di amare positivamente, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare affatto" (E. Fromm)
Negli ultimi anni, molta attenzione è stata data ad un fenomeno e modalità di stare in relazione che, a causa delle sue caratteristiche patologiche, oramai è pienamente riconosciuta come una delle "new addiction", la dipendenza affettiva. Proprio come gli altri tipi di dipendenze-senza-sostanza, essa non si instaura intorno all'assunzione di particolari composti chimici capaci di creare un duplice canale di dipendenza, psicologica ed organica; è la relazione affettiva ciò di cui la persona non può fare a meno, anche se questo provoca ingenti disagi ed ostacoli ad un suo funzionamento ottimale, come vedremo. Questo tipo di relazione è altamente disfunzionale, patologica, malsana, e prevede rigidità di ruoli fra i partner: ognuno segue un "copione" e non è possibile alternarsi nel ruolo da recitare, nella quotidiana recita amorosa. La reciprocità caratteristica di una relazione sana è totalmente assente, uno dei due partner dona tutto se stesso all'altro, per il bene ipotetico della relazione, l'altro prende e fagocita tutto ciò che viene messo all'interno dello spazio relazionale. Il dipendente, colui che si "dona" per il benessere del partner, può solo offrire cura; il controdipendente, colui che risucchia e al tempo stesso fugge con quanto ricevuto, può solo ricevere attenzioni, cure, senza mai ricambiare affettivamente ciò che guadagna dalla relazione. Ovviamente, avere bisogno dell'altro non è sinonimo di dipendenza affettiva. Nel corso delle nostre vite ci sono sani e funzionali momenti di dipendenza: pensiamo alle prime fasi di vita, in cui la vicinanza e la dipendenza del bambino nei confronti della mamma ne assicura la sopravvivenza. In età adulta il bisogno dell'altro può svolgere un'importante funzione di sostegno in momenti difficoltosi e dolorosi (es. lutto, malattie). Avere bisogno di qualcuno ed esserne consapevoli può portare grandi benefici. Potrà capitare, poi, che la stessa persona che ha ricevuto cure, offra cure a qualcun altro in un circolo virtuoso e continuo di reciprocità. Per un individuo che non vive particolari disfunzionalità relazionali, è possibile, quindi, pensarsi sia come promotore di cure, che ricevente. In una relazione matura, una dichiarazione d'amore suonerebbe più o meno così: "ho bisogno di te perchè ti amo". Essa, infatti, prevede sani spazi di autonomia personale: si è coppia, in quanto formata da due individui, unici, ognuno portatore di un bagaglio personale messo a disposizione della relazione, per il benessere di entrambi i membri. In una relazione immatura e dipendente, invece, i partner possono solo attaccarsi all'altro o fuggire dall'altro, dare o ricevere, ed il sentimento di amore è secondario al bisogno dell'altro. Il dipendente amoroso urlerebbe all'altro "ti amo perchè ho bisogno di te" o "sei la mia ancora di salvezza". L'altra persona è un mezzo. Abbiamo parlato prima di come ogni relzione dipendente preveda due persone che ricorpono due ruoli complementari, li abbiamo chiamati dipendente e controdipendente. Quali caratteristiche possiedono i due partner che costituiscono tale binomio?
Il dipendente affettivo è una persona con una tolleranza pressochè nulla alla separazione, in quanto per lui essa equivale ad una esperienza interna di abbandono. Le emozioni ed i sentimenti vissute, quindi, ad ogni separazione sono di totale disperazione e angoscia. Per tale motivo il dipendente cercherà in ogni modo di evitare l'esperienza della separazione e per lui l'unico strumento efficace è quello del controllo ("se riesco a controllarti, potrò evitare che tu mi lasci"). Si può ben immaginare come la fiducia nel partner sia minima o assente e la simbiosi sia la sola e unica modalità per poter assicurarsi la vicinanza dell'altro, la quale, proprio come una sostanza, è in grado di sedare i profondi stati di angoscia che si affacciano costantemente. Per evitare questo scenario catastrofico dell'abbandono, altra strategia unita al controllo, è quella del totale asservimento all'altro. Il dipendente affettivo è abilissimo nel leggere e comprendere i bisogni, desideri ed emozioni dell'altro. Ciò gli consentirà sempre di soddisfare l'altro e prendersene cura, talvolta prima ancora che il partner abbia consapevolizzato i propri bisogni. In pratica, il dipendente affettivo ricopre costantemente il ruolo della perfetta "crocerossina", sempre pronto ad aiutare e catapultarsi in soccorso del partner. Ma, come Robin Norwood, scrittrice e psicologa pioniera nel settore, scrive
"l'aiuto è il lato luminoso del controllo".
A questa abnegazione del dipendente verso l'altro, tuttavia. non corrisponde una cura e presa in carico verso se stesso ed i propri bisogni. Questi sono messi in cantina, non contano, anzi, possono remare contro il soddisfacimento di quelli altrui e quindi vanno messi a tacere. Per il dipendente affettivo, del resto, amore vuol dire sacrificio. Da ciò possiamo capire come lo squilibrio fra i due partner sia netto: una delle due persone è meritevole di cure, l'altra no, non ne è all'altezza. Il dipendente affettivo svaluta se stesso ed idealizza l'altro; solo una cosa può sfamare la sua bassissima autostima: essere in grado di tenere cucito a sè l'altro, perchè mantenere la simbiosi vuol dire che si è capaci di qualcosa, far star bene il proprio partner e questo restituisce un senso alla persona di autoefficacia: tutti i sacrifici compiuti hanno per lui un reale senso. Si può comprendere come tutto ciò possa portare molte persone a giustificare violenze ed abusi subiti: sopportare per il bene superiore, il bene dell'altro, aspettando che prima o poi (in realtà, mai) tutto il bene donato venga restituito, quando la "bestia" si trasformerà finalmente in un principe azzurro ed imparerà ad amare a sua volta. Fondamentalmente, l'opinione di sè è talmente bassa, da impedire al dipendente affettivo di concedersi qualsiasi forma di amore sano. Egli non la merita e nega a se stesso, anzi, ogni possibilità di risarcimento.
Affinchè questo circolo vizioso si mantenga, dall'altro lato, la persona controdipendente dovrà avere alcune caratteristiche. Egli, come si può intuire, molto spesso è la classica persona "difficile", tormentata, sfuggente, irrispettosa (tratti di personalità nettamente narcisistici). Ad una spiccata capacità empatica del dipendente, corrisponde una totale assenza di sintonizzazione empatica del controdipendente: egli non è in grado di cogliere nell'altro emozioni, sentimenti, bisogni. Il focus è orientato solo su di sé e sulla propria grandiosità. La stima di sé è ovviamente, ma anche superficialmente, molto alta: l'altro serve solo per il raggiungimento dei propri scopi, è mero strumento di soddisfacimento di bisogni. E anche se l'altro è la stessa persona che provvede a tutto, o quasi, nella vita del controdipendente, quest'ultimo non ammetterà mai di avere bisogno né del proprio partner né di nessun altro.
Le relazioni dipendenti portano, col tempo, a grosse ricadute su molti piani del funzionamento della persona: familiare, amicale, sociale, lavorativo. La danza perversa andrebbe avanti per molto, una danza che prevede il dipendente sempre alla rincorsa e alla ricerca del controdipendente che, preso ciò di cui necessita, fugge costantemente; una danza che può interrompersi solo quando qualcosa, qualche evento, riesce a mettere in pausa la musica e far sì che la persona dipendente si accorga di ESISTERE, consapevolezza considerata più che ovvia dai più, ma non così immediata nella realtà. Solo attraverso un processo di legittimazione personale si può arrivare a legittimare interamente e realmente l'altro, non per bisogno, ma per reale stima. Del resto, come ricorda Carl Rogers:
"un rapporto tra uomo e donna è importante, e val la pena di cercare di proteggerlo, solo se è per entrambi un'esperienza di elevazione e di crescita".